Dopo tante amarezze collezionate nel ciclismo maschile, la vittoria di Alberto Dainese a Reggio Emilia, certamente dà un sospiro di sollievo.
La situazione nazionale però resta drammatica: basti pensare che dei professionisti italiani attivi, uno soltanto (Filippo Zana) è tesserato con un team tricolore e si trova tra i primi 150 del ranking internazionale. Gli altri sono emigrati.
In pratica, chi vuole correre, deve partire: lo stesso avviene anche nel movimento femminile. E non più da Sicilia e Sardegna verso Toscana o Lombardia, come fecero Nibali e Aru. Ma dall’Italia all’Olanda o al Belgio: la Toscana che vent’anni fa portava 15 corridori al Giro oggi schiera solo Diego Ulissi.
I grandi gruppi stranieri vengono così a setacciare le nostre formazioni juniores e Under 23, e tanti, troppi azzurri devono poi andare all’estero se vogliono correre.
Tuttavia, non è facile per un ragazzo, lasciare l’Italia. Primo perché deve imparare una nuova lingua. Inoltre, bisogna sapersi mettere in gioco a discapito delle proprie certezze e abitudini. E questo per ottenere una totale indipendenza soprattutto economica.
Anche l’uso della tecnologia è molto più spinto rispetto ai nostri team: un professionista oggi si confronta con l’allenatore, il preparatore, dietologo, massaggiatore, chiropratico, biomeccanico, test in galleria del vento per bici e materiale, mental coach, tattico, nutrizionista.
Al tempo in cui Van der Poel, Van Aert, Pidcock o Evenepoel praticano strada, mountain bike, cross e addirittura atletica, i team italiani selezionano ragazzi nati e cresciuti solo sull’asfalto. Questa scelta fa comodo ai team manager poiché fa risparmiare loro i soldi del viaggio.
Denaro che a sua volta viene investito per tenere in vita un ciclo, ma che non produce più campioni. Nel 2022 l’Italia dispone di 54 corridori in squadre straniere, terzi alle spalle del Belgio (67) e Francia (58). Rispetto al passato, quello che manca quindi sono le formazioni italiane, ridotte appena a tre, attualmente presenti nella seconda divisione (Professional).
Dainese, dopo l’esperienza alla Zalf di Fior e dei fratelli Lucchetta, a fine 2018 si trasferisce in Olanda alla Seg Academy, formazione Continental creata per far crescere i giovani.
Nel 2020 passa alla tedesca Sunweb, diventata poi l’olandese Team Dsm. Su 28 corridori, Dainese è l’unico italiano. Così come Francesca Barale, piemontese di 19 anni, è l’unica azzurra nella squadra pro’ femminile della Dsm.
E intanto a Reggio Emilia, Dainese si è messo dietro gente come Gaviria, 49 vittorie; Consonni, solo 1 su strada ma oro olimpico a squadre dell’inseguimento; Demare, 86; Ewan, 57; Cavendish, 160.
E lo ha fatto vincendo una tappa corsa a 47.015 di media – la decima in linea del Giro più veloce della storia – recuperando terreno negli ultimi 50 metri, sprintando con il massimo rapporto(54×11) a oltre 75k/h.
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