DUE MAESTRI IN FUGA, L’ITALIA PORTA BENE AD ALAPHILIPPE
Julian Alaphilippe rinasce in Italia con il suo classico stile pazzo di andare all’attacco. Voglia di lasciare un segno a costo di rimbalzare all’indietro. Il ciclismo di Loulou è fatto così. Spumeggiante, ricco d’emozioni, pieno di fantasia e allegria. È spettacolo che omaggia la folla sempre presente tra le strade di questo Giro.
L’Italia è il Paese più amato da Loulou. Da noi ha vinto tanto. Nel 2020 all’autodromo di Imola con una stoccata da autentico fuoriclasse si prese il primo Mondiale, replicato l’anno dopo.
Fuga per la vittoria e numero d’alta scuola. Alaphilippe si regala alla corsa rosa uno dei giorni più belli della sua carriera. Il francese trionfa a Fano dopo un attacco di 135 chilometri(122 insieme a Maestri). Favorito magari un po’ dal prevedibile gioco d’attesa della maglia rosa e degli altri big.
L’azione decisiva nasce sulle rampe al 20% del Monte Giove. Lo strappo simile al Muro di Huy si trasforma in trampolino della sua resurrezione dopo un biennio non facile. Mirco Maestri prova a stargli dietro ma non ce la fa. Julian si regala una tappa al suo primo Giro d’Italia dopo vari successi al Tour e alla Vuelta.
D’altronde il francese inseguiva un’azione del genere da quasi un anno. E ieri è arrivata «una giornata speciale – dichiara – una delle più belle della mia carriera». Merito delle sue gambe, così adatte ai saliscendi dell’entroterra marchigiano.
Vincitore di due Mondiali, una Milano-Sanremo, tre volte la Freccia Vallone, una Strade Bianche, sei tappe al Tour de France, Loulou è tornato. Malgrado le critiche del capo Lefevere, dolorose alla stregua di una caduta. L’ultima, due anni fa alla Liegi-Bastogne-Liegi, paurosa, con tanto di pneumotorace e di due costole e una clavicola fratturate.
Il pubblico assiste ad uno spettacolo unico con due maestri in fuga. Uno di nome e l’altro di fatto. Julian fa coppia con il generoso Maestri, poi gli ultimi 11 chilometri l’uomo della Soudal spicca in volo.
«È molto emozionante ricevere così tanto affetto dai miei colleghi – ammette, poco dopo aver cercato Maestri, per abbracciarlo e ringraziarlo -. «Mirco è stato straordinario, senza il suo aiuto non ce l’avrei fatta. Mai avrei pensato che saremmo stati in fuga in due per così tanti chilometri. Avrebbe meritato di vincere quanto me».
Poi racconta di questi ultimi mesi difficili. «Non mi sono mai sentito finito. Ho avuto un calo, questo sì, ma fa parte della carriera di un corridore avere dei periodi un po’ più difficili. Sono sempre rimasto calmo, ho continuato a credere in me stesso, a pensare che sarei tornato quello dei bei tempi. Ci è voluta molta pazienza. Un po’ come in questa tappa che si addiceva alle mie caratteristiche, alla fine ho avuto ragione. Un giorno come questo vale tantissimo. Giornate simili mi fanno amare il ciclismo. Sono venuto al Giro con il solo obiettivo di vincere almeno una tappa e ci ho provato sin dal primo giorno».
Alaphilippe è venuto al Giro per dimostrare che in lui c’è ancora tanta voglia di correre e vincere. A 32 anni non è affatto finito o demotivato. Ci aveva già tentato il primo giorno a Torino, senza però riuscire ad attaccarsi a Pogacar e Narvaez. Ci aveva riprovato con la fuga sugli sterrati verso Rapolano: secondo, beffato da Sanchez.
Poi di nuovo in avanscoperta, con altri, a Prati di Tivo. Infine, negli ultimi chilometri di Napoli. Figuriamoci se si sarebbe lasciato scappare l’occasione più adatta al suo spirito d’attaccante nato.
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