Pogacar nel segno del Pirata

Lo sloveno stacca i rivali e diventa re nella salita teatro dell’impresa di Pantani nel 1999. E anche per lui un brivido: cade prima dell’ascesa

Pogacar alza le braccia al cielo davanti al Santuario, dove 25 anni prima Marco Pantani aveva coronato un successo impossibile. Una rimonta pazzesca: 49 avversari superati in 8 chilometri e mezzo, dopo il salto di catena che lo aveva appiedato in piena bagarre. 

Tadej regala al pubblico del Giro d’Italia una vera e propria apoteosi sportiva, con tanto di brivido iniziale. Un disegno del fato come se volesse accomunare l’impresa del Pirata con l’attacco dello sloveno. La testa della corsa era appena entrata nell’abitato di Biella e la UAE stava preparando ad attaccare gli 11 chilometri e 800 metri della salita finale. 

Tadej scivola in curva per colpa della ruota anteriore sgonfia. Lo sloveno allarga le braccia in segno di stizza, una rarità per il suo linguaggio del corpo sempre positivo. Dopo aver messo il piede a terra, rischia anche di essere investito dalla sua ammiraglia che gli era subito dietro. Ma il Re non si scompone di una virgola. In una manciata di minuti con l’aiuto dei compagni, recupera i 25 secondi di ritardo sul gruppo. Testa della corsa in quel momento guidata dalla Ineos della prima maglia rosa Narvaez e del capitan Thomas. 

A Oropa resta ancora impresso il mito di Marco Pantani. Soprattutto dopo l’imprevisto che ha colpito Pogacar: «Quando Pantani fece l’impresa proprio qui – ha detto Tadej -, io non avevo neppure un anno, la conosco grazie alle immagini e ai ricordi degli altri. Credo che significhi molto per i tifosi italiani, c’era una bella atmosfera, lungo questa salita si sentiva la presenza di Pantani ». 

Gli hanno fatto notare che in fondo non sembrava così contento e lui ha risposto: «Sono super-felice di questa giornata (tempo ufficioso di scalata degli ultimi 6,7 km 17’31”, 27” più di Pantani 1999)». Qualcuno ha avuto l’impressione che non stesse spingendo al massimo: «Al contrario. Ero al limite o quasi (nell’ultimo km il vantaggio è sceso da 36” a 27”). Sono orgoglioso di avercela fatta, ma il Giro è lungo, non è il momento di festeggiare troppo».

Rafal Majka, ultimo a entrare in scena, svuota il serbatoio sparando un chilometro a tutta. Non appena il polacco si sposta, ecco l’attacco di Tadej che squarcia la corsa. Il Re, col suo ritmo impossibile, i 4 km e mezzo finali se li è mangiati tutti. A spingerlo ci sono una marea di tifosi, fortunati testimoni di un capolavoro.

Durante l’attacco, a causa del cambio bici, lo sloveno ha affrontato la salita finale senza il computerino. A sensazioni, dunque. «Sì, l’avevamo pianificato, anche se non conoscevo bene questa salita e come me i compagni, in pratica. Majka ha fatto lo sforzo nella parte più dura, non ho guardato troppo il vantaggio perché quello che volevo era vincere la tappa insieme alla rosa. Missione compiuta, sono super-felice. L’atmosfera era fantastica, incredibile, non mi aspettavo di vedere così tante persone. Mi sono goduto ogni singolo momento della tappa»

Tadej delle meraviglie l’aveva promesso al pubblico del ciclismo. Quel popolo che lungo l’ascesa al Santuario della Madonna Nera ha accompagnato con un tifo indemoniato il suo primo volo nella storia rosa. L’aveva promesso non tanto per prendersi ciò che gli era sfuggito nell’apertura di sabato a Torino. Semmai per apporre in cima al primo arrivo in quota il sigillo su questo Giro d’Italia. 

La prima maglia rosa e il primo successo di tappa al Giro ora sono nella collezione di Tadej. Il ragazzo sta riscrivendo i canoni del ciclismo. Il simbolo della corsa italiana si aggiunge alla maglia gialla del Tour de France e a quella rossa della Vuelta, e siamo solo all’inizio del viaggio del fenomeno di Komenda.

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