Superata la brutta crisi del Blockhaus, Giulio Ciccone affonda tra le braccia del compagno di team Lopez, già maglia rosa a questo Giro d’Italia. Dopo una fuga superba, tanto da ricordare i bei tempi del “Geco d’Abruzzo”, vedi Sestola nel 2016 (prima vittoria al Giro), il Mortirolo nel 2019 e la stagione dei due giorni in giallo al Tour de France, ecco riaffiorare il ricordo di sé.
Nella quindicesima tappa, sul Verrogne e poi quando a 19 km dal traguardo è rimasto solo sulla lenta e pedalabile salita verso Cogne, forse Giulio avrà riavvolto la pellicola cinematografica, riguardo la sua recente vita sportiva.
«In avvicinamento al Giro ho avuto tanti problemi — racconta —, il secondo Covid, la bronchite con febbre alta, due settimane di antibiotici. La stagione rischiava di saltare». È partito da Budapest a fari spenti, uscendo poi dalla classifica generale sul Blockhaus. Non restava che attivare il piano B: la tappa. «La condizione finalmente è arrivata, mi hanno criticato, messo in dubbio, ci sta. Io sono rimasto aggrappato alle mie certezze: il lavoro, le mie caratteristiche, chi ha sempre creduto in me e mi ha detto Cicco, vedrai che torni, stai sereno».
Cicco da Chieti, 27 anni, scalatore puro, la più grande speranza per il ciclismo azzurro, di sicuro punterà ad altre tappe: «Cogne è la mia vittoria più bella, arriva in un momento particolare, ci voleva per ridarmi fiducia. Mantengo il profilo basso, non mi piace espormi. Stiamo vivendo il ciclismo di Pogacar, un fenomeno, altra categoria. Ma quando la strada sale, ci sono di nuovo anch’io».
Intanto, dopo il giorno di riposo, il Giro entra nella terza e ultima settimana, guardando bianco in volto i 5.250 metri di dislivello dell’Aprica, con cinque corridori racchiusi in un minuto, pronti a giocarsi la maglia rosa.
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