È notte fonda per il ciclismo azzurro

Il movimento ciclistico maschile italiano, è pesantemente in affanno: nel 2000 avevamo 15 squadre, le altre nazioni non erano imponenti come quelle di oggi, mentre spesso capitava che la primavera avesse soltanto un colore, l’azzurro.

Vedi la quarta tappa del Giro d’Italia, con Vincenzo Nibali che chiude a 4’52”, insieme a Lorenzo Fortunato. Lo Squalo in pratica ha perso 2’15” dal gruppetto di Carapaz e Yates.

Ora l’Italia maschile si condensa in tre numeri. Zero, le squadre WorldTour, il massimo circuito: l’Italia è assente dal 2017. Tre, le formazioni Professional, che per correre hanno bisogno pure di essere invitate. Cinquantaquattro, i nostri corridori professionisti nelle squadre WorldTour. Un numero che comunque testimonia l’altissima qualità dei corridori, così come quella del personale (manager, d.s., meccanici) presente in ogni team e delle nostre aziende di biciclette e componentistica.

Negli ultimi anni ci aveva pensato proprio Vincenzo Nibali a salvare il bilancio, tra grandi giri e classiche. Tuttavia non è stato nelle ultime Classiche di primavera: vedi Matteo Trentin 17° miglior italiano in Olanda, Albanese 11° alla Sanremo, Pasqualon 14° alla GandWevelgem, Mozzato 25° al Fiandre.

Non facciamoci ingannare dalla contabilità delle 20 vittorie nel 2022. Solo due sono state in corse WorldTour, cioè in serie A: la cronometro di Ganna alla Tirreno-Adriatico e la tappa di Bagioli al Giro di Catalogna in Spagna. Vero che ci sono molte attenuanti (cadute, Covid, influenza, bronchite), ma le hanno avute tutte le nazioni. 

Sappiamo benissimo quanto pesava Sonny Colbrelli per noi. Perciò tutta l’Italia aspettava Ganna alla Parigi Roubaix, sperando di ritrovare un Filippo protagonista sul pavé da lui amato. Ma poi non è stato.

Il ricambio non c’è: al Giro 2021 il bolognese Lorenzo Fortunato ha vinto sullo Zoncolan a 25 anni, oggi sull’Etna è arrivato staccato. A parte Filippo Ganna, che ne ha anche lui 25 e comunque è un doppio iridato a crono, ad altissimo livello non siamo più competitivi.

Con Colbrelli fuori gioco per i problemi cardiaci, tra cadute, infortuni, Covid e ricadute sono mancati Trentin, Moscon, Viviani, Bettiol, Nizzolo, Masnada e Ballerini. Quest’ultimo al Giro d’Italia sta facendo persino da gregario a una vecchia gloria come Mark Cavendish.  

Andrea Bagioli, 23 anni, vince ma non è continuo. Caruso vince ma ne ha 34, e Nibali a 37 ci mette impegno. A Liegi l’Italia chiude una primavera nera: nessun piazzamento nei primi 10, mai così male dal 2000, mai protagonisti in corsa. Andiamo in fuga senza speranza o facciamo i gregari.

E visto che parliamo di date, guardiamo in casa nostra. Dal 1970, il nostro più giovane in classifica è Damiano Cunego che nel 2004, la stagione del trionfo al Giro, vince il primo dei tre Lombardia a 23 anni e 27 giorni.

Poi Gabriele Colombo, che a 23 anni e 317 giorni, conquista la Sanremo 1996. Il più precoce, a parte Fausto Coppi (primo Giro nel 1940 a 20 anni), resta ancora Beppe Saronni: il Giro 1979 lo porta a casa a 21 anni. Questo è il problema principale dell’Italia maschile.

Il migliore degli italiani alla Liegi è stato Diego Ulissi, 32 anni, 22° a 2’30” da Evenepoel. Alla Sanremo, il primo azzurro è stato Vincenzo Albanese, 11°, 25 anni; alla Gand-Wevelgem, Andrea Pasqualon, 34 anni, ha chiuso 14°; al Giro delle Fiandre, 25° Luca Mozzato, 24 anni; alla Parigi-Roubaix, il primo è stato ancora Pasqualon, 19°.

E al Giro d’Italia gli azzurri deludono ancora. Nessuna bandiera tricolore presente nella top ten. Insomma, per il ciclismo italiano oramai, è notte fonda.   

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